sabato 27 febbraio 2010

due chiacchiere con Giuseppe Polverari


Vorrei inserire nel mio blog una serie di "due chiacchiere" o piccole interviste ad artisti amici e no.
Inizio con Giuseppe Polverari un caro amico e artista molto particolare perchè è uno dei pochi giovani artisti che ha il coraggio di fare pittura astratta (anche se lui non ama definirla così).
Prima di leggere le chiacchiere che abbiamo fatto è bene dare un occhio alle sue Opere sul sito www.giuseppepolverari.it e un video molto interessante che documenta il suo modo di lavorare http://www.youtube.com/user/sferrarini#p/f/6/gDUbtKESEcY
p.s. la chiecchierata deriva direttamente, con copia e incolla, da skype.

[13.22.51] Simone Ferrarini: mi domando se sei un artista clandestino, irregolare, considerato che pare sia vietato fare pittura astratta ai giovani artisti?
[13.26.03] giuseppe polverari: sul concetto di clandestinità, ho un pò paura che sia troppo legata a connotazioni politiche, prima ancora che umane, vale a dire alle norme che regolano i rapporti tra i vari stati. certo che se mi dovessi vedere dentro il mondo dell'arte, (ancora lontano)avrei uno stato d'animo del tutto indifferente alla problematica per me inisistente della clandestinità dell'astratto...d'altra parte che vuol dire essere astratto?vuol forse dire fare esperienze umane da relegare in un ambito anch'esso considerate astratte?...sul termine gravano principi di gusto di ere passate
[13.27.41] Simone Ferrarini: intendovo astratto da un punto di vista "formale". la tua pittura che rapporto ha con l'infomale? in particolare quello italiano?
[13.31.40] giuseppe polverari: ma è proprio il punto che dicevo. cioè non è più un termine che designa formalmente solo formalmente la pittura...faccio un esempio con un artista europeo, Rainer, che di figurativo fa poco, ma non si può secondo me dire che è astratto solo perchè non rappresenta niente...rappresenta altro...il suo corpo. forse in questo vi è più figurazione di tanta altra figurazione...così l'informale italiano, dipende sempre che riferimento si adotta, ma credo che a parte qualche rara eccezione, non abbia influito in me in modo determinante, se non in un secondo momento a livello linguistico, ma per coincidenze di strumenti linguistici
legati al gesto e alla diemnsione rivoluzionaria di vivere lo spazio come se fosse quello reale.
[13.34.13] Simone Ferrarini: con "dimensione rivoluzionaria di vivere lo spazio", intendi che vivi lo spazio della pittura e del tuo lavoro come se fosse un "luogo" reale?
[13.39.12] giuseppe polverari: sì, il tentativo è quello di abbattere l'illusorietà dello spazio pittorico.non è un luogo dove si esercita l'illusorietà, ma un luogo dove si esercità la verità. e per farlo bisogna ripristinare un dialogo con lo spazio pittrico fatto di grammaturgia, capcità di mettere in atto...mettere in atto qualsiasi aspetto dell'uomo non solo estetico ma affettivo e cognitivo anche. d'altra parte penso ad un Paolini dove mette in atto meccanismi mentali utilizzando lo stesso meccanismo di finzione(usiamolo nel termine corretto che non è finzione, fiction, ma capacità di rappresentare la verità!) penso anche a Caravaggio, ma si può estendere a una lunga lista di artisti. grammaturgia è drammaturgia.
[13.41.08] Simone Ferrarini: la drammaturgia però è una rappresentazione, cioè una funzione, quindi non realtà
[13.43.18] giuseppe polverari: è un meccanismo, che serve a rappresentare la verità...certo. la perfezione nell'uomo non esiste. ogni cosa ha un aspetto che si può dire paradossale. ma non è questo il punto. torno su quanto hai detto. nella rapresentazione nel modo in cui tu rappresenti rendi reale e vero..è un meccanismo che serve da passaggio dalla rappresentazione alla realtà, ed è la messa in atto.
prendiamo uno spartito: una rappresentazione musicale, che diventa reale nella sua messa in atto! a quel punto non è più finzione rappresentazione allo stato puro, ma può comunque essere veicolo di rappreasentazioni si significati umani profondi! in questo senso uso il termine finzione o meglio drammaturgia
[13.45.13] Simone Ferrarini: quindi pittura come "tramite", come "motore", come "provocatore" della realtà?
[13.45.37] giuseppe polverari: come generatore di energie reali come generatore e cumulatore di realtà!
[13.47.03] Simone Ferrarini: quindi direi una pittura che si può definire non più "monologo" ma che dialoga con l'osservatore. o meglio: l'osservatore non è più semplice osservatore che recepisce e etc. ma entra nell'opera.
[13.47.41] giuseppe polverari: una pittura che rende libero l'osservatore! libero realmete perchè on soggetto a percorsi rpestabiliti di interpretazione dell'opera quanto libero di esercitare la sua creatività. Può essere anche libero di osservare di non dire nulla...
[13.48.50] Simone Ferrarini: c'è qualcosa di meditativo in quello che dici? o meglio: l'osservatore deve avere un atteggiamento meditativo?
[13.49.18] giuseppe polverari: certo!è una giusta osservazione. L'osservatore è chiamato come l'uomo in generale, poichè l'essere ossservatore è un aspettoun abito come dire che l'uomo veste, ad avere un atteggiamento meditativo, ma oserei dire anche religioso, di rispetto, di attesa di sospensione.
[13.53.12] Simone Ferrarini: è inevitabile chiederti, dal momento che le tue opere sono legate ad un atteggiamento di meditazione, in quale luogo ideale dovrebbero essere esposte e meglio vissute?
[13.56.13] giuseppe polverari: da seduti direi in qualsiasi spazio perchè sono essi stessi spazio!...ma se dovessi estendere questo tema dello spazio dove esporli, direi che il luogo pù ideale sia un luogo ricco di eventi, storico nel senso che è importante che nel luogo si siano depositati eventi incisivi sorici o estetici o psichici, con i quali dialoghino
[13.57.18] Simone Ferrarini: ok, fino adesso abbiamo dato una sorta di chiave di lettura di quello che fai, ora cerchiamo di andare "dietro". come mai utilizzi dimensioni grandi?
[14.01.56] giuseppe polverari: mi sono sempre sentito a mio agio in dimensioni grandi in modo intuitivo. già quando frequentavo l'accademia lavoravo sempre su dimensioni grandi. piano piano questa esigenza è maturata in termini più consapevoli di estenzione e di rottura con un piano puramente rappresentativo: camminare dentro la superficie è un atto fisico e reale!come dipingerci dentro. è una dimensione che solo a distanze disumane, fuori dalla rappresentazione architettonica e spaziale concepita dall'uomo si riesce a vedere nel suo insieme. così ha una valenza irrazionale, più precisamente coinvolgente; non si può non essere coinvolti!
[14.03.30] Simone Ferrarini: quanto nel tuo lavoro è importate la fase di ricerca? cioè quello che realizzi è seguito da uno studio oppure vai subito seguendo l'istinto?
[14.05.11] giuseppe polverari: a periodi. sono due procedimenti, due prassi che non sono propriamente equivalenti ma complementari e penso che siano utili entrambi per condurre e ricercare per poi trovare soluzioni diciamo accettabili
[14.06.11] Simone Ferrarini: e la fase di ricerca cosa solitamente comprende? studio di artisti? visite alle mostre? esercitare la mano?
[14.09.09] giuseppe polverari: passeggiate, percorsi fisici di spazi, certo anche mostre, o meglio meditazioni su cose che mi rimangono impresse nella mente, oltre che un costante esercizio.La ricerca non è un concetto che è sufficiente per sè stesso. Deve trovare una sua applicazione, per così dire, una sua utilità. Lo scopo lo si può capire prima o durante. E la scoperta è diversa a seconda di quale di queste due strade si percorrono.
[14.10.29] Simone Ferrarini: strade intendi, concetto o utilità?
[14.11.05] giuseppe polverari: intendo il mdo di arrivare allo scopo che poi è l'utilità della scoperta.
[14.11.25] Simone Ferrarini: quanto ci metti a realizzare un'opera? intendo nella sua realizzazione "fisica"
[14.13.54] giuseppe polverari: dipende. dalla concentrazione. di solito l'opera si risolve sempre in un frangente breve. cioè in una illuminazione che si manifesta. ciò può avvenire subito o dopo una serie di opere. quindi se considero la tua domanda posso dire da un secondo a delle settimane o mesi. dipende cosa intendo epr realizzare un'opera. poichè trovata la soluzione illuminante, tutto il resto è contorno.
[14.16.05] Simone Ferrarini: ultima domanda e poi ti lascio in pace! nelle tue esperienze a berlino e new york il tuo lavoro è stato subito accolto in modo positivo, mentre in italia il percorso è molto più lungo. come mai queste differenze?
[14.21.49] giuseppe polverari: penso siano dovute a differenti ambienti e bacini di ricezione. in Italia persiste una tradizione fortissima, dico anche per fortuna, che ha un senso fortissimamente formalista: tutto deve essere inquadrabile in cornici di lettura prestabilite. Cosa che all'estero non vi è. é un pò la differenza che esiste tra una civiltà nomade e sedentaria. In Germania e a New York sono abituati a spostamenti a camminare processo primario per poi leggere e interpretare. Poi ci potrebbe essere all'origine di questo differente impatto del mio lavoro qui e all'estero un approccio emotivo diverso alla pittura come linguaggio, un linguaggio che ha quasi un alone sacro intorno a sè, dunque la loro attenzione aumenta fortemente.

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