sabato 30 gennaio 2010

L'Italia della generazione over 50


Il più stretto collaboratore di Obama ha 28 anni. E' il primo consigliere del Presidente e si occupa delle stesura dei discorsi. 28 anni. Ripeto: Ventotto anni.
Il paragone con la nostra situazione - quella italiana intendo - è inevitabile.
Da noi ogni posizione che si occupa di gestione del patrimonio economico e culturale (gli over 50 direbbero "posizione di potere") è in mano a persone che sono anagraficamente e mentalmente degli over 50. Non parlo in generale di tutti gli over 50, ma parlo di tutti gli over 50 che lavorano nell'amministrazione pubblica e privata.
La mentalità degli Over si può sintetizzare con una parola: POTERE.
Hanno un senso un'attrazione rispetto al potere che manca totalmente agli Under. Forse la lotta di classe degli anni sessanta e settanta ha sviluppato nella mentalità di quella generazione uno spiccato senso di potere, anche rispetto a quelli che non ce l'hanno. Forse è un gene italiano che è semplicemente peggiorato in quegli anni. Forse ci sono altri motivi che solo un sociologo o antropologo può definire in modo corretto.
Fatto sta che la situazione attuale vede un sistema non amministrativo ma di potere: chi governa non ha la responsabilità di gestire un patrimonio, ma ha in mano una grossa fetta dell'economia e della società. Questa provoca una sorta di corsa al potere o un ricerca assoluta dell'allenza del potere perchè questo garantisce un benessere economico. Chi ha il potere essendo innazitutto esperto nella gestione del potere (se no non ci sarebbe mai arrivato) si preoccupa ovviamente che i suo alleati siano persone che garantiscono il mantenimento del proprio potere.
Il risultato è che tutte le posizione amministrative, molte delle quali anche senza una vera funzione se non quella di dare potere agli alleati del potere, sono monopolizzati dagli Over. Gli Under si trovano così tagliati fuori da tutto. Ma non solo perchè non c'è fisicamente più spazio ma perchè sono cresciuti senza un idea precisa di potere: alcuni parallizzati dalla paghetta del papi, altri in balia del caos totole degli anni ottanta e novanta che ha sviluppato in loro un forte senso di sopravvivenza. Tutti quanti però con un influenza esterofila (negativa e positiva) che ha portato maggior comunicazione e un senso di amministrazione decisamente diverso; i trentanni sono la 'Generazione Erasmus', cioè di coloro che hanno vissuto direttamente altre esperienza è hanno importato un senso amministrativo diverso.
Cosa succederà? Non saprei. Sicuramente prima o poi gli Over creperanno tutti e si apriranno gli spazi agli Under. Bisogna però vedere due cose: la prima se gli Under tengono botta ancora per molto tempo in queste condizioni estreme, e poi se l'astuzia degli Over crearà una generazione Under con una mentalità Over appositamente per il potere. Considerato che gli Under con una mentalità Under staranno a guardare la previsione è scontata.
Questo lungo discorso ammetto che mi spaventa un po': sono un Under e in questo post ho dimostrato di avere un idea precisa di potere, proprio come il miglior Over! Aiuto!

venerdì 29 gennaio 2010

Officina della Arti - Commento all'intervista della Direttrice Farioli


Scrivo questo post in replica ad un intervista della Direttrice dei Musei Elisabetta Ferioli uscita sul il Resto del Carlino del 29 gennaio.
Di seguito i miei commenti, ovviamente strattamente di carattere personale e non rappresentativi di nessuno al di fuori di me.

in maiuscolo le frasi della Farioli.
C'E' UN PO' DI NERVOSISMO
Personalmente non vedo nessun nervosismo.
Per quanto mi riguarda sono più che contento di poter utilizzare un atelier splendido come quello in Officina e di aver incontrato moltissimi creativi reggiani che costituiscono un underground particolare e unico per una città di provincia. Ho indubbiamente un'altra idea di Officina rispetto alla Gestione Attuale sopratutto perchè credo sia una struttura che abbia una grande potenzialità inespressa. Ma il fatto di avere un punto di vista diverso non mi da alcun motivo di innervosirmi.
MA CINQUE PRIVATI NON POSSO AVERE USO ESCLUSIVO DI UNA STRUTTURA PUBBLICA.
Ma chi ha mai voluto uso esclusivo della struttura pubblica? Si chiaro: nessuno ha mai preteso l'uso esclusivo di officina. Nell'articolo noi atelieristi abbiamo solo chiarito il ruolo degli atelier e qualcuno (Azio) si è lamentato di averci rimesso i soldi.
L'ATRIO E' RIMASTA DI COMPETENZA DEI MUSEI.
Questa è la confermato della sovrana gestione e responsabilità dell'officina da parte dei Musei e il ruolo secondario degli atelier. Questa era la sostanza delle miei risposte nell'intervista sul giornale e del post nel blog. Mi ha fatto piacere che la Farioli lo abbia confermato.
LORO CREDENDO CHE AVREBBERO AVUTO FONDI.
Nessuno ha mai creduto e detto di volere fondi. Non è mai stata un'illusione o un'utopia ne tantomeno una pretesa. Quindi alludere che i fondi siano un problema provocato dagli atelier non è corretto.
Tra l'altro come atelier (sunghe ed io) abbiamo lavorato inzialmente proprio su questo problema: ci siamo occupati di coinvolgere partner, associazione, gallerie, cooperative e curatori che fossero in grado di collaborare sul piano dell'organizzazione, della comunicazione e della sponsorizzazione. Il coinvolgimento c'è stato ed ha fruttato una buona stagione (quella 2007) con costi da parte del comune pari, se non minori, rispetto a quelli attuali (ora le mostre hanno un biglietto di invito e manodopera che aiuta nell'allestimento, quel ciclo di mostre no). Per la fase successiva era previsto il coinvolgimento di partner che collaborassero alla realizzazione di eventi sperimentali come work in progress, seminari ed incontri tra diverse discipline (nella prima fase l'impostazione era per buona parte tradizionale). Ma non è andato a buon fine perchè non abbiamo più ricevuto la programmazione da parte del comune (anche se rischiesta da più atelier). Ripeto quello che ho detto nei post precedenti: è legittimo da parte dei Musei non comunicare con noi ma valutare solo i nostri progetti. Ma è stato altrettanto leggittimo da parte dei partner la richista di conoscere "quando", "come", "e con chi", si sviluppava l'evento che dovevano sostenere; non avendo ottenuto nessuna risposta la collaborazione dei partner è decaduta. Il principio su cui lavoriamo (sunghe ed io) è quello di cosiderare progetti e considerare come questi possono essere finanziati, più che considerare direttamente progetti che costano zero (si rischia una qualità bassa).
L'AFFLUENZA ATTUALE A NOI VA BENE, ENTRANO CIRCA 7MILA PERSONE L'ANNO.
Premetto che i numeri, cioè la "massa" non deve essere un dato di successo della struttura, perchè la "massa" non significa gradimento e coinvolgimento (vedi televisione). Comunque, dal momento che si è tirato in ballo l'argomento "numeri" è bene approfondirlo. L'affluenza deriva da questi "canali" (in ordine dal più grande al più piccolo).
- La stragrande maggioranza (nell'articolo è anche precisato una cifra, 4mila, direi verosimile) del pubblico è portata dagli spettacoli e dai corsi del Cento Tatrale MaMiMò. Piccola divagazione: credo che i numeri del MaMiMò potrebbero aumentare notevolemente se molti spettacoli anzichè essere realizzati in Atelier si svolgessero nello spazio centrale, decisamente più capiente.
- Una grossa fetta è dovuta alla frequentazione privata degli atelier, cioè visitatori che passano in Officina non per Eventi ma quotidinamente per incontrare gli atelieristi. Se si considera che dal nostro - sunghe ed io - passano mediamente 20 persone a settimana tra incontri, riunioni, artisti di passaggio, etc. si raggiunge sommando i 365 giorni un numero elevato.
- Altra fetta consistente sono i concerti organizzati da Icarus Ensamble, Strange Vertigo e Amaro!.
- Ultima fetta deriva dalla mostre di durata mensile, che portano un buon numero di partecipanti all'inagurazione e nei giorni successivi pochissime persone, mediamente da 0 a 5.
Conclusione: quasi tutti i 7.000 visitatori sono portati dalle attività degli atelier.
SIAMO ABBASTANZA CONTENTI DI COME VIENE SFRUTTATO IL LUOGO. SOPRATUTTO SE DOBBIAMO FARE I CONTI CON LE MOSTRE CHE SI SVOLGONO IN CENTRO.
In Officina delle Arti per le mostre vengono da 0 ad un massimo di 5 visitatore. Se le mostre in Centro hanno numeri minori credo debba essere motivo di riflessione generale non di soddisfazione su l'andamento di officina.
Inoltre la Farioli considera e paragona Officina come "spazio espositivo"; questo non fa altro che confermare quello che volevo precisare nell'intervista (i Musei considerano Officina uno spazio tradizionale). Se, però, consideriamo la "struttura" e le funzioni che contiene Officina, bar-atelier-esposizioni, il paragone con altri spazi esclusivamente espositivi decade e il paragone più corretto e con altre strutture polifunzionali come, ad esempio, il Centro Loris Malaguzzi.
LA SCORSA RIUNIONE A FINE DICEMBRE ABBIAMO ESPOSTO LORO GLI APPUNTAMENTI FINO A MARZO.
A fine dicembre non c'è stata alcuna riunione.
Inoltre se questo incontro fosse vero non sarebbe cambiato granchè: conoscere tre mesi di programmazione già pianificata, con Natale di mezzo e ancora da verificare la disponibilità a collaborare degli artisti già in calendario, come è possibile ideare-progettare-trovareartisti-trovarepartner per realizzare un evento decente!?

Sinceramente mi aspettavo dalla Direttrice qualcosa in più: sviluppare il discorso Officina considerando semplicemente il problema della richiesta fondi degli atelier (tra l'altro un non-problema) e specificando la soddisfazione per l'affluenza dei visitatori (tra l'altro quasi esclusivamente legata agli atelier) credo sia un'occasione mancata. Un articolo del Carlino può essere un opportunità che un Direttore di Museo può sfruttare per spiegare alla città le intenzioni, il programma, il futuro, e il coinvolgimento del pubblico rispetto ad un luogo che ha una funzione culturale importante.
Ma così non è avvenuto.

giovedì 28 gennaio 2010

Accademia di Belle Arti 1


L'Accedemia di Belle Arti è la più grande fornitrice di Illusi e Frustrati che si possa trovare in circolazione.
Solo qualche studente, marginale ed emarginato, frequenta l'Accademia senza credere di diventare un grande artista che si alza tardi la mattina e vive d'amore e arte. La colpa non è degli studenti ma dell'impostazione che viene data dai dirigenti e dai professori, per lo più artisti falliti con problemi di frustrazione.
Sarebbe tutto più semplice, sia durante che dopo gli anni di studio, se si cambiasse completamente impostazione: studiare e analizzare i "meccanismi" dell'arte in modo che questa possa essere applicata in diversi modi e in diversi contesti. Come se l'arte fosse uno strumento di lavoro, utilizzata come un vero e proprio attrazzo per modificare, migliorare, costruire contesti e persone. Chi esce dall'Accademia deve essere in grado, ad esempio, di inserire l'arte e i suoi metodi ovunque, nell'educazione, nelle aziende, nella gestione urbanistica, negli ospedali. Ripeto: ovunque. Anche su se stesso. Un "se stesso" che non è protagonista assoluto, con atteggiamenti artistoido, ma una specie di cavia su cui bisogna sperimentare le proprio conoscenze e di conseguenza crescere. E chi ha talento in questo modo emergerà ancora di più perchè ci sarà una attenzione sulla Ricerca/Sviluppo e non sull'Essere/Risultato.
Lavorativamente un'Accademia di Belle Arti impostata in questo modo può dare maggiori risultati: non si limita più ad avere un ruolo nel settore arte (il ruolo dell'artista perchè critici e galleristi spesso vengono da altre formazioni) ma anche in tutti quei settori che nescessitano di creatività e cultura (quindi tutti i settori).

mercoledì 27 gennaio 2010

Perchè la fissa dell'Iran?


I motivi fondamentale della mia fissa sull'Iran sono due.
Il primo è genetico: ho ereditato dai miei parenti le fisse. Mia nonna era fissata con i sacchetti di plastica (aveva una colezione infinita, anche di queli bucati (infilava uno dentro l'altro quelli con buchi differenti e ci veniva fuori un sacchetto sano)), mia mandre invece ha aumentata la taglia e si occupa di cartoni. Ora le mie fisse sono abbastanza decenti ma sono rassegnato anch'io al fatto che tra qualche annetto mi appassionerò a qualche tipo di contenitore.
Il secondo motivo è che la protesta iraniana "sa di storia". Non è stata la violenza delle persecuzione ad attirare la mia attenzione, ma la sensazione che stiamo assistendo ad un (potenziale) passaggio storico.
Innanzitutto non è solo un movimento che si oppone ad un regime ma è il primo popolo che si ribella apertamente ad un regime islamico (solitamente abituati all'onnipotenza).
Ma sopratutto è una ribellione che nasce dalla popoloazione mussulmana senza che nessun "colonizzatore pagano" c'abbia messo il becco; questo fa decadere brutalmente il punto di forza dei regimi islamici: "fomentare l'odio per i cattivi americani e israeliani".
Il movimento iraniano è un "cattivo esempio" che fa concretamente credere nella libertà e va a "colpire" tutti quegli arabi (sopratutto giovani e donne) che vorrebbero ribellarsi ai regimi.
C'è quindi la condizione perchè si verifichi un "meccanismo" che fa parte del processo storico: una rivolta da inizio ad una serie di altre rivolte. Un po' come è accaduto con il muro di Berlino e l'"effetto domino" che ha provocato sugli altri regimi comunisti.
In tutto questo l'Occidente deve giocare un ruolo fondamentale: stare a guardare. Ma non nel senso di non fare niente, ma di guardare, vedere, osservare, conoscere e far conoscere al mondo quello che succede.
Tutto qui. Nessuna guerra. Nessun morto. Solo parlarne, magari non al telegiornale dopo le notizie di gossip.

lunedì 25 gennaio 2010

Televisione

Non c'è televisione privata e televisione pubblica. Ci sono televisioni di proprietà privata e televisioni di prorietà pubblica. Entrambe fanno un servizio pubblico.
E quindi, essendo un servizio pubblico, deve essere regolamentato.
Da quindici anni si parla di chi è il proprietario della televisione ma il problema maggiore è cosa c'è in televisione.
Chi sostiene che "la televisione è un qualcosa in più" non si rende minamamente conto che la giornata della stragrande maggioranza degli italiani funziona così: alzarsi alla mattina presto, andare di corsa al lavoro che generalmente non si ama ma si sopporta, star lì tutto il giorno, e la sera quando cala il sole si rientra a casa dove molti si trovano ulterirore lavoro da sbrigare. Il risultato è che al termine di tutto questo si è stanchi morti e cioè ridotti in una condizione che permette solo di starsene lì, sul divano, davanti alla televisione. Se a questo aggiungiamo che la stragrande maggioranza degli italiano non si può permettere di uscire più di due volte la settimana, direi che la condizione psychotelevisiva si diffonde ulteriormente.
La Tivù ha quindi ha un ruolo culturale fondamentale e quindi deve assumersi la responsabilità di questo.
Una responsabilità urgente, ancor più del chi è il proprietario.

Officina delle Arti - ruolo degli atelier.

L'altro giorno è passata dall'Officina delle Arti una giornalista e mi ha, inevitabilmente, domandato "Cosa succede all'Officina delle Arti?". La mia prima risposta è stata "Lasciamo perdere". Il mio primo pensiero è stato "Lasciamo perdere un merda!".
La prima risposta (il "lasciamo perdere") deriva direttamente da un sano istinto paraculo italiota che mi porta a evitare accuratamente argomenti che possono tirare in ballo qualche ego di qualche altra persona. Il primo pensiero (il "lasciamo perdere una merda!") deriva direttamente da un sano istinto padano da (ex) contribuente (ora sono in miseria) che mi porta a considerare 'mio' tutto quello dove 'io ci pago le tasse' e quindi 'chi usa i miei soldi è tenuto a rispondere a qualsiasi mia domanda che io ci faccio'.
Essendo un paraculo e non volendo ferire nessun ego, ne anche il mio padano, non riesco a non rispondere.
In realtà, nonostante questa lunga premessa, posso dire poco e non certo per mancanza di volontà ma perchè il ruolo che ho all'interno di Officina è semplicemente quello di dividere un Atelier con un artista folle di nome Sunghe Oh.
Certo, la parola "officina" può tradire: fa sembrare il ruolo del laboratori centrale per l'attività e la programmazione degli eventi. In realtà non è così: la parola "officina" serve fondamentalmente per definire la presenza fisica degli atelier. La programmazione è - legittimamente - stabilità dall'"alto", cioè dai Musei, che definisco la linea culturale e la programmazione. In seconda battuta subentrano gli atelier che possono proporre progetti; questi vengono valutati e inseriti nel programma verificandone la compatibilità.
Porto un esempio concreto: gli atlieristi non conosco quello che avviene in Officina e non ne conoscono la programmazione futura; non vengono - legittimamente - informati anche se ne fanno richiesta. Solo nel caso in cui viene presentato un progetto viene stabilito come e quando realizzarlo in base al programma già steso.
Apro una parentesi. Questa decisione gestionale dei Musei su Officina non coincide con il modo di progettare del nostro atelier (mio e di Sunghe) per un motivo molto semplice: riteniamo che per ideare e progettare un evento occorre un minomo di "basi": sapere indicativamente una data o periodo, cosa avviene nel luogo in cui viene inserito (cioè cosa c'è prima, dopo e durante), la situazione logistica e se vi è un minimo di budget. Queste esigenza sono fondamentali sopratutto perchè vi è il coinvoltimento di partner a cui veongono chieste idee, tempo e denaro, ed poco opportuno approciarsi e collaborare con dei "mah", "boh", "forse", "non sappiamo". Così abbiamo deciso di lavorare come Atelier di Officina al di fuori dello spazio fisico di Officina (vedi progetto Reggio Babele a palazzo Casotti e KI alla Casalgrande Padana). Parentesi chiusa.
Ammetto che erronemente avevo creduto che la progettazione e quindi la programmazone dell'Officina nascesse dalla collaborazione tra Musei ed Atelier. Ma mi sono clamorosamente sbagliato.
Per concludere, tento di rispondere alla domanda iniziale posta dalla giornalista, "che cosa succede in Officina?": è uno spazio espositivo tradizionale con mostre e, ogni tanto, eventi performativi alcuni dei quali provenienti dagli Atelier. Oltre alla normale attività espositiva sono presenti atelier di teatro, musica, architettura, cinema e pittura che quotidianamente svolgono la propia attività all'interno dei propri spazi.

post scriptum.
In questo primo post dedicato all'Officina ho tentato di spiegare come funziona e chiarire i rispettivi ruoli.
In un successivo post dirò quello che penso concentrandomi sulle potenzialità che può esprimere e il ruolo che può avere nel territorio.