L'altro giorno in diretta tivù c'era il governo che presentava l'emendamento: ici, irpef, accise, pensioni, sgravi, tassazioni, rapporti con l'ue, scudo fiscale, etc. etc. (etc è 'eccetara' e non una sigla di una nuova tassa).
Sono un imbianchino, decisamente italiano medio, e quindi la maggior parte delle cose non le ho capite. Però una cosa sì, mi è chiara: un piccolo prelievo, ad esempio sulla benzina di 10 centesimi, moltiplicato per milioni di persone diventa uno grosso incasso per lo stato. Questo banale meccanismo mi ha dato da pensare ad una cosa: da buon italiano medio ho un'esigenza come la stragrande maggioranza degli italiani: andermene in piazza, beccarmi con i miei amici, prendere un caffè, fare due chiacchiere e poi magari ci facciamo un giro e ci infliamo in qualche negozietto e ci compriamo qualche minchiatina; in una parola: cazzeggiamo!
Ma questo diventa sempre più impossibile per via che le piazze sono impraticabili, i negozi chiudono e quelli che rimangono sono tuttiguali e le iniziative che intrattengono in piazza sempre meno e sempre più pallose. L'alternativa è il centro commerciale, ma come tutti, ci vado da solo, solo per comprare, e ci sto il tempo per l'acquisto.
Avete mai sentito un tedesco dire "vado in piazza?" oppure "ci troviamo in centro?".
E allora mi domando: ma che danno economico da dieci centesi per milioni di persone provoca lo spostamento dalle piazze italiane ai centri commerciali in stile americano-tedesco?
E allora la realtà delle piazze e non quella degli Statisti è che tutti i grafici germanofili che costruiscono maxiemendamenti pieni di lettere siglate non potranno mai essere economicamente così efficienti come un microemendamento in favore del sacrosanto cazzeggio italico!
firmato: ITALANO MEDIO.
mercoledì 7 dicembre 2011
lunedì 24 ottobre 2011
Simoncelli
Vedendo quello che è successo ieri mattina, qualche centinaio di migliaia di motociclisti esaltati, sparsi in tutto il mondo, ieri pomeriggio ha evitato di andare a manetta e quindi di schiantarsi.
A loro Simoncelli ha salvato la vita.
A loro Simoncelli ha salvato la vita.
mercoledì 12 ottobre 2011
Officina delle Arti - THE END - per me.
In galera ho conosciuto un ragazzo pocopiù che ventenne. Era dentro per un reato gravissimo: aveva rubato un I-pod. Sì, si è fatto quasi sei mesi. Sì, giuro, rubato un I-pod. Non si rubano gli I-pod ed è giusto essere condannati. Sei mesi, però, sono decisamente tanti; forse bastavano sei giorni, o, esagerando, sei settimane.
Ma cosa c'entra questo con Officina delle Arti?
Nulla, assolutamente nulla. Solo che mi viene da raccontarvi come introduzione questa storia. Non so perchè, non viene dal cervello ma da qualche altra parte del corpo, forse lo stomaco, forse il culo.
Ma veniamo ad Officina. Per me, che ho concluso la mia esperienza lì pochi giorni fa, è il momento di fare un bilancio. Non voglio però fare un bilancio personale perchè di fronte ad una struttura pubblica che ha una funzione pubblica, mi sembra redicolo, offensivo, fuorilogo, eccetera, raccontarvi "ma io qui", "ma io là". Meglio capire cosa serve Officina e come mai non ha funzionato.
Il ruolo di officina - come ho già scritto in post precedenti - è quello di dare alla città uno spazio da vivere nel quotidiano dove si può passare qualche ora bevendo un buon caffè e curiosando negli atelier di artisti che producono le proprie cose. Molto semplice e molto interessante. Osservare il 'dietro le quinte' di un lavoro artistico, scambiare due chiacchiere con gli artisti, e ogni tanto assistere a qualche evento è il senso di officina. Una struttura in realtà facile da gestire perchè funziona da se. Occorre solo una semplice cosa: aprirla.
Ma questa semplice apertura non è avvenuta e la situazione che si è creata negli anni era paradossale: una struttura che funzionava però chiusa. E come avere un ristorante che va a pieno regime ma tiene le porte chiuse: voi da fuori, attravrso i vetri, vedete che ci sono i cuochi che cucinano e i cammeriri che preparano i tavoli ma non potete entrare. Ma la differenza è una ed è enorme: è che il "cibo" che si sta producento dentro officina l'avete già pagato e anche a caro prezzo: 145 mila euro all'anno.
Perchè questa semplice apertura (che si realizzava automaticamente attraverso la gestione del bar) non è avvenuta? Non ho sufficiente intelligenza per capirlo. E come me neanche le centinaia e centinaia di reggiani che alla parola "Officina delle Arti" fanno quella faccia lì, schifata, che avete fatto anche voi ad inizio post.
Se non c'è una risposta alla domanda ci sono i nomi di tutti coloro coinvolti in questo progetto andato male:
ATELIERISTI. Ovviamente è un punto di vista parziale e forse le colpe che abbiamo sono superiori a quelle che pensiamo. Comunque. Atelier sempre attivi e quindi potenzialmente visitabili. Progetti proposti molti tra cui anche una trasformazione d'uso da Officina delle Arti a Officina della Cultura (e quindi cambio gestione con coinvolgimento di più assessorati). Sicuramente dovevamo metterci più grinta e arroganza. Colpevoli anche se in minima parte. Risultato, giustamente, FUORI da officina.
PIETRO MUSSINI. Angelo e Demone di Officina. E lui che l'ha creata ed è lui che ha contribuito a distruggerla con una serie di non risposte, mancate progettazione, etc. Colpevole con giustificazione ma colpevole. Risultato: andato in pensione e quindi FUORI da Officina.
ELISABETTA FARIOLI. Responsabile di Officina. E lei che ha stabilito la linea di gestione, la programmazione, la scelta di tenere il bar chiuso, di non venire mai a vadere cosa capitava, di bocciare progetti e di tutto ciò che è avvenuto e non avvenuto. A lei, sostanzialmente, si deve la gestione di tutta quanta la faccenda. Non è l'unica colpevole ma decisamente la pricipale colpevole. Risultato: NON FATTA FUORI (per ora)
L'idea di chiudere questo ciclo di Officina con la soluzione del taglio lineare in stile Tremonti, cioè tutti fuori-tabula rasa-si comincia da capo, è per molti versi discutibile ma di fronte alla reputazione che Officina ha in città è più che comprensibile. Fuori tutti, si ricomincia. Ed è proprio in questo "si ricomincia!" che c'è finalmente, dopo anni, qualcosa di concretamente positivo.
Come ho raccontato la storia del ladro di I-pod qui sul blog senza alcun motivo, racconterò la storia di Officina là in galera. Non so ancora se concluderò con "han fatto fuori tutti" oppure con "la principale responsabile è ancora là a comandare". Ma al di là della conclusione del racconto la chiecchierata si chiuderà così: il rapintatore di banca salterà su è dirà "Simò, pure io ho fatto un banale prelievo di soldi pubblici e gli ho sprecati! E son finito qui! Capita sai? non te la prendere dai!".
Una buona battuta è una gran cosa. Ora si riprende a produrre che è meglio.
Scordavo una cosa: in tutto questo l'Assessore c'entra qualcosa? Ha sempre avuto un ruolo defilato perchè di fatto su Officina aveva un ruolo defilato in quanto la direzione di Officina era delegata completamente in mano alla Farioli. Ora però si ricomncia da zero e la prima decisione da prendere è sua: si ricominciare da zero?
Ma cosa c'entra questo con Officina delle Arti?
Nulla, assolutamente nulla. Solo che mi viene da raccontarvi come introduzione questa storia. Non so perchè, non viene dal cervello ma da qualche altra parte del corpo, forse lo stomaco, forse il culo.
Ma veniamo ad Officina. Per me, che ho concluso la mia esperienza lì pochi giorni fa, è il momento di fare un bilancio. Non voglio però fare un bilancio personale perchè di fronte ad una struttura pubblica che ha una funzione pubblica, mi sembra redicolo, offensivo, fuorilogo, eccetera, raccontarvi "ma io qui", "ma io là". Meglio capire cosa serve Officina e come mai non ha funzionato.
Il ruolo di officina - come ho già scritto in post precedenti - è quello di dare alla città uno spazio da vivere nel quotidiano dove si può passare qualche ora bevendo un buon caffè e curiosando negli atelier di artisti che producono le proprie cose. Molto semplice e molto interessante. Osservare il 'dietro le quinte' di un lavoro artistico, scambiare due chiacchiere con gli artisti, e ogni tanto assistere a qualche evento è il senso di officina. Una struttura in realtà facile da gestire perchè funziona da se. Occorre solo una semplice cosa: aprirla.
Ma questa semplice apertura non è avvenuta e la situazione che si è creata negli anni era paradossale: una struttura che funzionava però chiusa. E come avere un ristorante che va a pieno regime ma tiene le porte chiuse: voi da fuori, attravrso i vetri, vedete che ci sono i cuochi che cucinano e i cammeriri che preparano i tavoli ma non potete entrare. Ma la differenza è una ed è enorme: è che il "cibo" che si sta producento dentro officina l'avete già pagato e anche a caro prezzo: 145 mila euro all'anno.
Perchè questa semplice apertura (che si realizzava automaticamente attraverso la gestione del bar) non è avvenuta? Non ho sufficiente intelligenza per capirlo. E come me neanche le centinaia e centinaia di reggiani che alla parola "Officina delle Arti" fanno quella faccia lì, schifata, che avete fatto anche voi ad inizio post.
Se non c'è una risposta alla domanda ci sono i nomi di tutti coloro coinvolti in questo progetto andato male:
ATELIERISTI. Ovviamente è un punto di vista parziale e forse le colpe che abbiamo sono superiori a quelle che pensiamo. Comunque. Atelier sempre attivi e quindi potenzialmente visitabili. Progetti proposti molti tra cui anche una trasformazione d'uso da Officina delle Arti a Officina della Cultura (e quindi cambio gestione con coinvolgimento di più assessorati). Sicuramente dovevamo metterci più grinta e arroganza. Colpevoli anche se in minima parte. Risultato, giustamente, FUORI da officina.
PIETRO MUSSINI. Angelo e Demone di Officina. E lui che l'ha creata ed è lui che ha contribuito a distruggerla con una serie di non risposte, mancate progettazione, etc. Colpevole con giustificazione ma colpevole. Risultato: andato in pensione e quindi FUORI da Officina.
ELISABETTA FARIOLI. Responsabile di Officina. E lei che ha stabilito la linea di gestione, la programmazione, la scelta di tenere il bar chiuso, di non venire mai a vadere cosa capitava, di bocciare progetti e di tutto ciò che è avvenuto e non avvenuto. A lei, sostanzialmente, si deve la gestione di tutta quanta la faccenda. Non è l'unica colpevole ma decisamente la pricipale colpevole. Risultato: NON FATTA FUORI (per ora)
L'idea di chiudere questo ciclo di Officina con la soluzione del taglio lineare in stile Tremonti, cioè tutti fuori-tabula rasa-si comincia da capo, è per molti versi discutibile ma di fronte alla reputazione che Officina ha in città è più che comprensibile. Fuori tutti, si ricomincia. Ed è proprio in questo "si ricomincia!" che c'è finalmente, dopo anni, qualcosa di concretamente positivo.
Come ho raccontato la storia del ladro di I-pod qui sul blog senza alcun motivo, racconterò la storia di Officina là in galera. Non so ancora se concluderò con "han fatto fuori tutti" oppure con "la principale responsabile è ancora là a comandare". Ma al di là della conclusione del racconto la chiecchierata si chiuderà così: il rapintatore di banca salterà su è dirà "Simò, pure io ho fatto un banale prelievo di soldi pubblici e gli ho sprecati! E son finito qui! Capita sai? non te la prendere dai!".
Una buona battuta è una gran cosa. Ora si riprende a produrre che è meglio.
Scordavo una cosa: in tutto questo l'Assessore c'entra qualcosa? Ha sempre avuto un ruolo defilato perchè di fatto su Officina aveva un ruolo defilato in quanto la direzione di Officina era delegata completamente in mano alla Farioli. Ora però si ricomncia da zero e la prima decisione da prendere è sua: si ricominciare da zero?
sabato 24 settembre 2011
LA SCOMMESSA. Via Turri a Reggio.
(In un post scritto qualche giorni fa sottolineavo come siamo capaci di bontolare contro le istituzioni che funzionano in modo criminale ma non siamo minimamente capaci di arrangiarci. C'è un problema? O si affronta tramite le istituzioni o son maroni).
A reggio emilia c'è la zona di via Turri (o stazione): immigrazione incontrollata che diventa ghetto con vari problemi. Un posto pessimo per vivere ma perfetto per dare sfogo a tutta la forza dell'arte nel ristrutturare il contesto sociale-culturale. Lì ci sono un tot di locali, magazzini, negozi, laboratori, rimasti vuoti da tempo. Ecco la SCOMMESSA:
Scommetto con i proprietari degli immobili che nel giro di un paio d'anni quel quartiere può inizare ad avere una reputazione diversa e di conseguenza i loro immobili aumentare di valore. Non si chiede uno spazio gratis, ne uno sconto sull'affitto ma una caratteristica ben più concreta: LA QUOTA VIENE VERSATA NON DIRETTAMENTE AL PROPRIETARIO MA IN UN FONDO. Il 31 ottobre 2013 si verifica la situazione del quartiere: se non è più un ghetto ma è diventato parte della città il fondo viene utilzzato per FINANZIARE PROGETTI ARTISTICI NEL QUARTIERE, se invece il quartiere è tale e quale il fondo viene INCASSATO DAL PROPRIETARIO.
Tutto molto semplice, vero?
A reggio emilia c'è la zona di via Turri (o stazione): immigrazione incontrollata che diventa ghetto con vari problemi. Un posto pessimo per vivere ma perfetto per dare sfogo a tutta la forza dell'arte nel ristrutturare il contesto sociale-culturale. Lì ci sono un tot di locali, magazzini, negozi, laboratori, rimasti vuoti da tempo. Ecco la SCOMMESSA:
Scommetto con i proprietari degli immobili che nel giro di un paio d'anni quel quartiere può inizare ad avere una reputazione diversa e di conseguenza i loro immobili aumentare di valore. Non si chiede uno spazio gratis, ne uno sconto sull'affitto ma una caratteristica ben più concreta: LA QUOTA VIENE VERSATA NON DIRETTAMENTE AL PROPRIETARIO MA IN UN FONDO. Il 31 ottobre 2013 si verifica la situazione del quartiere: se non è più un ghetto ma è diventato parte della città il fondo viene utilzzato per FINANZIARE PROGETTI ARTISTICI NEL QUARTIERE, se invece il quartiere è tale e quale il fondo viene INCASSATO DAL PROPRIETARIO.
Tutto molto semplice, vero?
giovedì 22 settembre 2011
IL CATALOGO by THOMAS HIRSCHHORN
Ecco un suggerimento molto valido dell'artista Thomas Hirschhorn
"Il problema dei cataloghi è che spesso voglione essumere autorità.
Un catalogo viene spesso concepito con l'intento di legittimare o rivalutare l'opera d'arte. Lo rifuto. Un catalogo dovrebbe infromare, creare coscienza, dicutere i collegamenti e i contesti. Dovrebbe dare spazio a domande, non cercare di convincermi della validità di un'opera e, soprattutto, non dovrebbe essere intimidatorio attraverso la sua forma e il suo stile"
"Il problema dei cataloghi è che spesso voglione essumere autorità.
Un catalogo viene spesso concepito con l'intento di legittimare o rivalutare l'opera d'arte. Lo rifuto. Un catalogo dovrebbe infromare, creare coscienza, dicutere i collegamenti e i contesti. Dovrebbe dare spazio a domande, non cercare di convincermi della validità di un'opera e, soprattutto, non dovrebbe essere intimidatorio attraverso la sua forma e il suo stile"
domenica 11 settembre 2011
siamo statalisti, colpevolmente statalisti.
Il problema è che siamo culturalmente statalisti: ragioniamo inconsapevolmente come se il rapporto tra di noi deve essere esclusivamente gestito dallo stato. E questo non è riferito a quei servizi come la sanità o la scuola che devono ovviamente essere di gestione pubblica. E' riferito a qualsiasi altro progetto che ha bisogno di referenti e finanziamenti. Se abbiamo una buona idea la prima cosa che pensiamo è quale apparato pubblico ce lo può finanziare. Non pensiamo ha chi serve quel progetto. Non pensiamo, ad esempio, che il punto di vista di un matto può essere utile a chi deve innovare. Non pensiamo, ad esempio, che un'istituto d'arte può proporre nuove idee di design e architettura per attività commerciali.
Questo è un hadicap culturale che ci ha ridotto in una condizione grave: mettere la nostra economia in mano all'amministrazione pubblica per lo più fatta da incompetati. La politica ha tutto il nostro dissenso ma ha il il nostro ampio consenso culturale quando sostanzialmente diciamo "fate voi".
E' questo "fate voi" il grosso problema da superare con un semplice e banale principio: "facciamo noi". E non si chiama liberismo ma più semplicemente "collaborazione".
a presto?
Questo è un hadicap culturale che ci ha ridotto in una condizione grave: mettere la nostra economia in mano all'amministrazione pubblica per lo più fatta da incompetati. La politica ha tutto il nostro dissenso ma ha il il nostro ampio consenso culturale quando sostanzialmente diciamo "fate voi".
E' questo "fate voi" il grosso problema da superare con un semplice e banale principio: "facciamo noi". E non si chiama liberismo ma più semplicemente "collaborazione".
a presto?
martedì 6 settembre 2011
mentalità nell'amministrazione pubblica.
(questo giro sarò qualnquista, ma di un qualunquismo scontatissimo. Purtroppo a volte è inevitabile per contrastare la tendenza tipicamente italiani di sorvolare per il quieto vivere).
Cosa deve fare un'ammistrazione pubblica? Molto semplice: lavorare.
Non occorre spendere, finanziare, sostente, assiste. Occorre semplicemente adare in ufficio e lavorare. Lavorare significa fare ricerca, creare contatti, mettere a sistema e organizzare. Molto semplice no? Economico no? No, non economico, peggio ancora: gratuito, perchè di gente negli uffici pubblici ce nè a iosa.
E invece no: a dominare è la mentalità dell'assistenzialismo: si finanzia un progetto e poi...poi? poi basta. Sì perchè dare agevolazioni per l'amminstrazione pubblica significa sostenerlo. Che il progetto ha bisogno di contatti, di entrare in rete, circolare, etc. questo no, non esiste. E come se si spendono un sacco di soldi per finanziare l'acquisto di auto e poi non si fanno le strada. Così le macchine, belle e costose, se ne stanno in garage e le persone che le devono usare rimangono in casa e i comodi sedili della auto vengono usate dai gatti come cuccia.
Così abbiamo una serie di attività che ricevono finaziamenti pubblici che non entrano in contatto con altri soggetti che hanno bisogno (e sono disposti ad investire) in queste attività; i primi non sanno come proporsi (inviare una mail o telefonare come un veditore di telefonia?? sucidio) e i secondi non sanno dove cercare.
Non esiste una "piattaforma" di riferimento, una "piazza" in cui entrare in contatto, confrontarsi e produrre.
E allora fate ste cacchio di strade e piazze, che poi ci si va anche a piedi o in bici. Della macchina in garage non ce ne facciamo nulla.... Come? Come dite: e poi i gatti dove li mettiamo?
Cosa deve fare un'ammistrazione pubblica? Molto semplice: lavorare.
Non occorre spendere, finanziare, sostente, assiste. Occorre semplicemente adare in ufficio e lavorare. Lavorare significa fare ricerca, creare contatti, mettere a sistema e organizzare. Molto semplice no? Economico no? No, non economico, peggio ancora: gratuito, perchè di gente negli uffici pubblici ce nè a iosa.
E invece no: a dominare è la mentalità dell'assistenzialismo: si finanzia un progetto e poi...poi? poi basta. Sì perchè dare agevolazioni per l'amminstrazione pubblica significa sostenerlo. Che il progetto ha bisogno di contatti, di entrare in rete, circolare, etc. questo no, non esiste. E come se si spendono un sacco di soldi per finanziare l'acquisto di auto e poi non si fanno le strada. Così le macchine, belle e costose, se ne stanno in garage e le persone che le devono usare rimangono in casa e i comodi sedili della auto vengono usate dai gatti come cuccia.
Così abbiamo una serie di attività che ricevono finaziamenti pubblici che non entrano in contatto con altri soggetti che hanno bisogno (e sono disposti ad investire) in queste attività; i primi non sanno come proporsi (inviare una mail o telefonare come un veditore di telefonia?? sucidio) e i secondi non sanno dove cercare.
Non esiste una "piattaforma" di riferimento, una "piazza" in cui entrare in contatto, confrontarsi e produrre.
E allora fate ste cacchio di strade e piazze, che poi ci si va anche a piedi o in bici. Della macchina in garage non ce ne facciamo nulla.... Come? Come dite: e poi i gatti dove li mettiamo?
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